Sul potere - Ricerca azione CT Mammut 2023/24

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 Proposta per le scuole

del Centro Territoriale a Scampia Mammut - anno 2023/24

 

 

Sul potere

 

Ricerca azione  2023/24  

del  Centro Territoriale a Scampia – Mammut/Università di strada L’A.PE (liberazione Attraverso Pedagogia)

Questo documento è un invito a partecipare al percorso di ricerca personale e professionale del Centro Territoriale Mammut di Scampia per l’anno scolastico 2022/23.

Nel PDF allegato troverete qualche informazione in più sulle attività realizzabili a scuola, presso sedi associative o altre organizzazioni.

Maggiori dettaglia sono presenti sul sito www.mammutnapoli.org o scrivendo a [email protected].

Premessa

L’ascolto del contesto sociale dello scorso anno ci ha suggerito di focalizzare la ricerca azione di quello nuovo su una finalità prevalente: Il potere: divenendo così parola chiave per il cambiamento di scuola e città attorno a cui vorremmo lavorare quest’anno. Nell’allegato troverete maggiori dettagli sul perché e sul come la nostra ricerca lavorerà durante l’anno attorno a questo tema.

 

Ipotesi di partenza e nucleo della ricerca 

 

Attraverso la metodologia di ricerca e intervento pedagogico e sociale afferente alla pedagogia attiva, il tema del potere può diventare grimaldello di cambiamento perché la quotidianità scolastica acquisisca maggiore efficienza e  efficacia, divenendo spazio tempo di felicità per adulti e bambini. 

 

 

 

PROPOSTA OPERATIVA

 

  1. MITO DEL MAMMUT XVI EDIZIONE

PERCORSO LUNGO

Il Mito del Mammut è un gioco di teatro quartiere, progetto interdisciplinare di  ricerca azione e formazione sul piano personale e professionale per adulti e bambini, basato sulla metodologia della ricerca sciale e pedagogica.

Il Mito del Mammut costituisce il percorso più completo tra quelli proposti dal CT Mammut. E’ un gruppo di ricerca stabile, della durata di un anno, che si costituisce a settembre e si scioglie a luglio. Consiste in una formazione sul piano personale e professionale per gi adulti, basato sulla metodologia della ricerca attiva.

Questo lo schema di lavoro:

  1. Definizione dell’ipotesi iniziale (con finalità e obiettivi)
  2. Formazioni e co-ricerca, dove tutto parte dalla sperimentazione su di se di quanto verrà proposto ai bambini.
  3. Mappe di ricerca (matrici narrative) e strumenti di monitoraggio
  4. Azioni e ricerche teoriche messe in campo
  5. Scrittura collettiva della pubblicazione di fine ricerca
  6. Verifica e riprogrammazione

 

E’ riservato ai docenti e educatori che vorranno iscriversi con il proprio gruppo classe. Il percorso parte da una sperimentazione su di sé, per poi proporla agli alunni. A partire da miti e favole aventi ad oggetto l’archetipo del “corpo”, il gruppo di ricerca procede per 3 fasi, in un lavoro costante di scrittura collettiva che porta alla redazione Barrito dei Piccoli e de L’A.PE.

Il Mito è un percorso interdisciplinare che si articola nei diversi spazi della città coinvolti, si conclude con il Mito del Mammut in piazza Giovanni Paolo II. I partecipanti partono dalla redazione di un progetto di ricerca individualizzato (matrice narrativa), impegnandosi a prendere parte ad almeno 5 incontri di formazione e co-ricerca: 3 incontri di formazione intermedi + 1 di avvio e 1 di chiusura e verifica. Tutte le attività con i bambini vengono svolte durante l’orario curriculare.

Le giornate di formazione e co-ricerca sono quelle attraverso cui il gruppo prosegue nella ricerca, esperendo attività e condividendo conoscenze derivanti dal lavoro su campo e dalla consultazioni di materiali.

Le azioni partono dal racconto di un mito al gruppo classe, come input per racconti autobiografici ad essi collegati e alle ricerche successive. Il percorso viene poi svolto in classe, nel normale orario curriculare, dal singolo docente, da solo o con la presenza di un operatore Mammut. Prevedendo momenti di incontro tra i vari gruppi partecipanti dalle diverse scuole, come: il giornale e la pedagogia delle tane; la corrispondenza; giornate laboratoriali in presenza per intergruppi, la giornata finale del Mito in piazza e altri scambi. Finalità e obiettivi del Mito del Mammut sono facilmente rinvenibili tanto in quelli  specifici riguardanti le diverse materie e aree dell’apprendimento, quanto in quelli inerenti lo sviluppo del sé individuale e collettivo e alle tematiche più proprie dell’ecologia e dell’educazione civica.

Anche nel Mito del Mammut le varie fasi dell’anno, proprio come in una messa in scena teatrale, constano di diversi movimenti, uno indispensabile all’altro. Ecco in linea di massima l’ordine con il quale si intende procedere quest’anno.

 

2)  PERCORSI BREVI

A partire da temi e discipline specifiche su cui viene richiesta la collaborazione da parte dei docenti interessati, libri e altri materiali vengono utilizzati per sviluppare i temi didattici e educativi concordati. I percorsi di quest’area di lavoro consistono nella ricerca di ponti tra l’invisibilità della lettura e la visibilità di ciò che ha corpo. E viceversa, tra ciò che avviene nella vita reale e quanto invece ritroviamo sui libri.  Molto ha a che fare con l’immaginazione e la possibile costruzione di realtà tanto cara a autori come Hilmann.  Si svolge in orario curriculare con cicli che vanno da 1 a 3 incontri, presso la sede Mammut in piazza Giovanni Paolo II.

Quest’aula è riservata a docenti e educatori con un proprio gruppo classe, essendo svolto prevalentemente in affiancamento al lavoro sul campo.

L’ABC: la scuola attiva parte da qui. Incontri tematici con esponenti contemporanei delle più importanti esperienze alla base della pedagogia che cerchiamo di costruire. E’ il tentativo di condividere i fondamentali di questo approccio all’educazione.

 

  1. Percorsi specifici da organizzare nei contesti dei gruppi che fanno richiesta

 

3)UNIVERSITA’ DI STRADA  DE L’A.PE – LA FORMAZIONE

Come ogni anno le formazioni accompagnano la ricerca, con l’obiettivo di far partecipare alle scoperte anche chi ha minori disponibilità di tempo.

Le formazioni sono principalmente di due tipo:

  1. cicli di incontri esperienziali a partire dalla sperimentazione su di sé dei contenuti della ricerca.
  2. Incontri con professionisti e attivisti con cui affrontare meglio temi e nodi critici della ricerca.

I percorsi sono aperti a genitori, docenti, educatori, psicologi e cittadini curiosi, nelle modalità che di volta in volta verranno comunicate. E’ possibile richiedere la realizzazione di percorsi L’A.PE a seconda delle necessità/possibilità dei singoli contesti cittadini.

Info e iscrizioni: [email protected].

  1. BARRITO DEI PICCOLI E L’A.PE

Sono le 2 riviste, la prima per i bambini e la seconda per gli adulti. Strumento per tenere viva la tensione di scrittura collettiva di cui l’intera ricerca si nutre, entrambe hanno la finalità di portare fuori dall’aula quanto sperimentato durante l’anno con adulti e bambini. La presentazione del nuovo numero della rivista che partirà il 23 settembre 2023, costituiscono uno dei principali strumenti del CT Mammut per creare interconnessioni tra persone, gruppi, pensieri e azioni.

                                                                                

 

 

Qualche dettaglio in più sullo sfondo integratore

Sul Potere 

Lo sfondo integratore del prossimo anno

Leggendo le pagine di questo numero delle rivista probabilmente sarà rimasto anche a voi, a mo’ di retrogusto, una specie di parola rimbalzante. O almeno a  noi è successo proprio così, portandoci a maturare il nuovo sfondo integratore della ricerca azione del prossimo anno.

                                                                                          “POTERE”.

Se  “corpo” si è confermata parola cardine per ogni reale cambiamento nella scuola (e nella città), potere va esattamente nella stessa direzione.

Buon parte della pedagogia di sempre (anche prima che si chiamasse così) ha ruotato attorno a questa parola: il modo in cui è stata interpretata e riempita di senso/significato ha determinato i diversi orientamenti delle scuole di pensiero che si sono occupate di educazione, didattica, crescita, cura.  Va da se che sempre le radici di questo senso/significato, affondavano nelle convinzioni sulla politica e sul più  generale ordine universale dei diversi pensatori. 

Così come per “corpo” buona parte della nostra ricerca è stata impresa semantica, ancor di più sarà cosi col “potere”. Nel gergo comune “potere” diventa sempre più una parolaccia, associata a qualcosa di losco, malvagio, nemico del bene, pre-potente. Ci poniamo  pertanto anche un ambizioso  obiettivo “riabilitativo”,  in omaggio  a un termine senza il quale (al netto di ogni pur  comprensibile antipatia) niente sarebbe possibile.

Piedistallo o scarafaggio? Una scelta da maestro

Tutta la pedagogia a cui ci ispiriamo nasce in realtà contro il termine potere così come veniva declinato  nella  scuola di inizio ‘900. Celestine Freinet - cui dobbiamo molte delle spinte e degli strumenti che ci animano - iniziò la sua rivoluzione proprio a partire dal confronto con questa modalità di organizzare il tempo spazio della classe. Nel suo diario il maestro francese racconta la disperazione di un inizio in cui (anche per problemi polmonari e di debilitazione fisica), non potendo seguire i consigli del Preside e degli altri colleghi di usare l’autorità conferita dal suo ruolo per sottomettere gli allievi, veniva messo sotto scacco dalle classi turbolente della montagna francese di quegli anni. E’ un racconto molto bello quello che Freinet fa del suo processo di liberazione dall’asfissiante catena del potere. La scoperta dell’interesse (specie di quello del più irrequieto dei suoi alunni rapito dall’osservazione la vita di uno scarafaggi nel cortile scolastico) come vera molla della disciplina; la liberazione  dello spazio aula dalla cattedra/ piedestallo, sopraelevata rispetto al resto dei banchi, simbolo dell’autorità docente; riuscire a smarcarsi dal conformismo verso colleghi e superiori… Il prender corpo di quello che J. Dewey intendeva come unica possibilità di riuscita per le nascenti scienze dell’educazione: adottare un’ottica di ricerca, liberando la pedagogia dai suoi tre principali nemici: “autorità, dogma, abitudine”.

Ricerca, potere e anarchia

Più recentemente a ricordarci che questa era la via è stato Francesco De Bartolomeis (di seguito riportiamo alcuni stralci significativo dal suo “La ricerca come antipedagogia”). Evidenziando che il tema del potere è intrinsecamente legato a quello della ricerca,  e ponendo al centro di ogni possibilità di cambiamento la modificazione dell’asimmetria nella relazione docente/alunno. E’ proprio attorno alla devastante sproporzione di potere tra questi 2 ruoli che ruota il sistema scuola, ancora oggi: il sado-masochismo rimano l’immodificato tratto distintivo degli anni passati dietro banchi e cattedre.

E’ tutta la pedagogia libertaria, a cui il CT Mammut si è  da sempre ispirato, ad avere questo tema come punto cardine. In buona parte derivante dalla matrice anarchica che ne costituiva la visione di fondo, la pedagogia libertaria affonda le proprie radici nell’idea di un mondo fatto di “adulti”, dove non c’è più bisogno del genitore (esterno) che premia o castiga il buono o cattivo bambino per mantenere l’ordine. Filosofia politica assai variegata quella anarchica, ma in linea di massima sempre basata sull’idea  che nell’autoresponsabilizzazione e nella capacità di essere autonomi, sta ogni possibilità di felicità e giustizia sociale: l’autorità esterna non è mai la soluzione ai problemi dell’esistenza individuale e collettiva.

Ideale anarchico che ha dovuto fare i conti con i tantissimi stigmi e preconcetti che la società prevalente gli continua ad appiopppare, come la falsa convinzione che anarchia significhi assenza di disciplina, disordine, caos. L’anarchia al contrario, per realizzarsi, richiederebbe il massimo della disciplina e dell’ordine. Non basato però su un’autorità esterna, ma sulla scelta etica individuale e sull’armonia come meccanismo regolatore della convivenza. Qualcosa di molto simile all’Agape, cui ci condusse la ricerca sulla “Madre” raccontata nei numero 4 e 5 di questa rivista.

Idea quella anarchica che può contare su molta buona letteratura, specie nella sua declinazione in ambito educativo: dai pamphlet come quello contenuto nella nuova edizione “L’anarchia spiegata ai bambini”,  ai  testi  preziosissimi di Colin Ward (“Il bambino e la città”, ed. L’ancora del Mediterraneo, Napoli, 1999) o a quelli più recenti come “L’educazione incidentale” (Ed. Eleuthèra, 2018) a cura di Francesco Codello; “La libera scuola di SUMMERHILL”, di Neil (ed. Eleuthera, 2021); “Infanzia e potere, origini e conseguenze di una oppressione” (Ed Babilon, 2022) di Andrea Sola.

 Il libro su  Summerhill (con una bella prefazione di Goffredo Fofi),  racconta di una delle esperienze capostipite dell’educazione libertaria, che ha fatto da apripista anche negli altri Paesi e in tempi recenti. Di esperienze di scuole libertarie ne sono nate tante, in tutto il mondo, e noi abbiamo la fortuna di avere come amici alcuni dei maestri virtuosissimi che sulle colline Emiliano-Romagnole hanno dato vita ad alcune di queste scuole  belle. Esperienze di pedagogia libertaria che col passare degli anni sono andate sempre più abbandonando le finalità di indottrinamento politico  (come nel pamphlet che citavamo), preferendo invece  praticare contenuti e presupposti valoriali che dell’ideale libertario costituiscono le fondamenta. Presupposti che dovrebbero poi essere alla base di ogni lavoro educativo, di qualsiasi matrice. Lo stesso approccio montessoriano, tanto incentrato sullo sviluppo dell’autonomia e sulla concezione del bambino come cittadino del presente, scevro da dogmatismi e imperniato sul pensiero scientifico, costituiscono un pezzo importante anche per la scuola libertaria. Dare fiducia all’autoregolazione; sviluppare autonomia e non dipendenza dall’autorità; pensare la scuola come comunità educante (nel pieno coinvolgimento dei genitori nella vita di tutti i giorni) perché condivide i valori di partenza anche sulla società a cui tendere; trasformare bambini e genitori da utenti a partecipanti attivi del progetto politico pedagogico della propria scuola;  guardarsi intorno e cominciare sin da piccolissimi a pensare e costruire un mondo migliore sono alcuni dei presupposti libertari. Molti di questi li ritroviamo anche nella scuola maggioritaria (seppure con scarsissima applicazione reale). 

 Le esperienze di vera scuola libertaria rimangono però isolate e minoritarie, capaci anche per questo di mettere  in crisi molti dei capisaldi della pedagogia di sinistra in Italia. Ad esempio perchè le idee libertarie sono riuscite a trovare spazio soprattutto al di fuori del sistema della scuola pubblica. Del resto non sono solo gli anarchici a pensare che lo “Stato” non sia  garanzia di giustizia sociale e di imparzialità, in quanto per lo più portatore di interessi dominanti  (dei i partiti al governo in un determinato momento politico, delle lobby che fanno pressioni nei parlamenti nazionali e comunitari a secondo degli interessi privati di cui sono portatori, etc.). Questione questa tutt’altro che sciolta, basti notare che anche le idee di maestri più vicini al pensiero comunista, come Freinet, nella scuola pubblica posto non sembra ne abbia trovato più di tanto. L’MCE, lo storico movimento pedagogico che fortunatamente ancora oggi ne porta avanti pratiche e pensiero freinetiani, rimane esperienza assolutamente minoritaria, seppur molto radicata nelle scuole pubbliche di tutta Italia (e oggi rivitalizzata da spinte di rinnovamento di cui si stanno facendo promotori molti giovani maestre e maestri).

Ed ecco che a parlare di potere il binomio educazione / politica  si presenta  indissociabile.  Una  delle domande da sempre alla base della ricerca Mammut è del resto come assicurare, anche a chi non può permettersi (non ha il potere) di pagare rette più o meno alte, di giovare dei benefici di una scuola autenticamente attiva. Domanda che ne richiama subito un’altra: come non sacrificare i diritti giuridico-economici dei docenti (già così scarni nella scuola pubblica) all’idea di una scuola (privata ma) felice per gli alunni, tanto che si tratti di auto-sfruttamento (come nel caso delle piccole scuolette  dove docente/proprietà coincidono) che di scuole di dimensioni maggiori.

Corpo

Ma  ad essere fedeli al racconto dell’anno, noi al tema del  “Potere” ci siamo arrivati attraverso il  viaggio attraverso il  “corpo”. In uno dei libri più belli che abbia scritto Alexander Lowen (Il piacere, di cui pure pubblichiamo di seguito alcuni esplicativi stralci), il fondatore della bioenergetica riesce a dare una definizione sempre più esaustiva al termine piacere, anche grazie alla contrapposizione con il vocabolo “Potere”. Se il piacere è quella condizione data dal contatto con il sé corporeo, con la vita che sperimentiamo attraverso la presenza che si fida e si abbandona ad essa, il potere è invece il più o meno  goffo tentativo dell’ego di controllare tutto ciò che accade, di affermare e accrescere sé stesso, dominando quanto c’è intorno, che si tratti del proprio corpo o di altre persone. Il potere come distorsione della ricerca del piacere, come modalità compensativa di chi, per storie e scelte personali, ha finito per non esserne più capace di provarne in maniera autentica, perché sfugge al contatto con il sé corporeo e i suoi impulsi.

Approccio che sembra andare a braccetto con l’altro tra i più frequentati lo scorso anno:  quello di J. Hillman. Nel più volte citato “Re-visione della psicologia”, l’ “Io” diventa la persona archetipica dell’ “’Eroe” (ad esempio re Artù) capace di farsi sterminatore di tutte le altre persone, che invece dovrebbero avere pari posto nell’anima di ciascuno di noi perché possa esserci equilibrio, armonia, salute, vitalità. Due visioni psicologiche in cui Ego e Io, quando si fanno ipertrofici e e prendono il sopravvento, fanno del Potere il termine da cui Freinet e ogni maestro appassionato di felicità e amante dei propri alunni, tenta di liberarsi.

Se la politica e l’economia costituiranno approcci fondamentali per l’impresa semantica che ci aspetta nella ricerca del Mito XVII anno, la psicologia lo sarà altrettanto. Come ci ricordava spesso Mario Mastropaolo (psicoterapeuta gestaltiano che abbiamo avuto il privilegio di avere come supervisore negli anni iniziali della ricerca)  la parola potere racchiude la possibilità di essere, fare, pensare…. Se questa parola la castriamo, la buttiamo,  la mortifichiamo fino a desiderare di farne a meno, perdiamo ogni potere.  Tanto che si guardi  alle situazioni di vita individuali, quanto a quelle collettive, quel che ci diceva  Mario Mastropaolo  16 anni fa, sembra quanto mai attuale. Soprattutto se lo si raffronta con le tesi di Lowen e Hillman.

Spiritualità                                      

Come centrale sarà l’approccio della filosofia e della spiritualità sul tema. Di potere  si sono occupati tutti i principali filosofi della storia del pensiero, costituendo le basi anche degli approcci psicologici fin qui citati, o fornendone vie alternative. Come nel caso della Scuola di Francoforte, che sarà indispensabile tenere molto in considerazione per il materiale preziosissimo che ancora può fornire. Con E. Marcuse ad esempio e la sua idea di lavoro come perno della rivoluzione sociale e politica, perché non più strumento al servizio del potere, campo in cui può realizzarsi il potenziale creativo dell’uomo. Pensiero che si discosta da quella di Freud da cui pure prende le mosse, fornendoci un terreno teorico importante anche per meglio comprendere il pensiero di Lowen riportato  in queste pagine.  

Ma fare i conti col potere significa fare i conti anche con l’idea del potere che l’uomo ha nella vita. E quindi con l’esistenza di forze che invece lo trascendono, che lui non ha il potere di controllare. E se queste forze esistono se sono personficabili, se sono entità o semplicemente casualità? Che tipo di potere hanno sull’uomo? Ci si può comunicare e in che modo? Nessun Dio, perché esiste solo la proiezione dei genitori che per un bimbo sono Dio? Non esiste nessuna forza al di fuori  dell’uomo e tutte quello che si sono inventati fin qua è solo strumento di dominio delle chiese? Esistono molti Dei invece? O in realtà non esiste proprio niente ed tutto è un’illusione?  Forse esiste un più generale concetto di energia vitale che scorre in ognuno di noi in collegamento col cosmo (come in Reich che  l’orgone)? O ci sono centri energetici come gli archetipi junghiani, in una concezione della psicologia del profondo dove tutto è interconnesso? Un Dio capriccioso, autoritario, despota, a cui ci si può solo sottomettere, augurandosi che abbia compassione di noi e che sia clemente? O un Dio amorevole, un Dio dell’Amore, con cui instaurare un rapporto di amicizia, filiale, di tenerezza?

Tutte domande che ci pongono di fronte al dilemma dell’alterità: esiste un “altro” che non sia io, talmente altro da essere altro dalla condizione umana che mi contraddistingue? Esiste un’alterità più grande e più importante di me, a cui posso essere solo grato? Esistenza che se limita la mia potenza, mi da però la possibilità di potermi affidare, di sentirmi al sicuro come bimbo nel lettone dei suoi genitori? O esisto soltanto IO? E nel caso quest’alterità esistesse, è interna (costituendo una parte di me) o esterna?

In ogni caso la risposta che si sceglie (come prevalente) influenzerà pesantemente il significato da dare al termine potere, costituendone la base di convinzione profonda.  Soprattutto se la risposta viene data come collettivittà. Ad esempio un approccio come quello calvinista ha finito per rivelarsi funzionale all’economia liberista. Ragionamento che richiede però ponderatezza e ascolto profondo, non potendosi limitare a  schematismi superficiali. Meritando analisi attenta i casi  di contaminazione come quelli  tra anarchia e cristianesimo, o tra comunismo e  cattolicesimo, che  hanno alimentato anche in Italia movimenti politici seri e rigorosi.

Nella ricerca di due anni fa, esaminammo del resto le convinzioni esistenziali alla base di grandi pedagogisti del secolo scorso. Come per Rudolf Steiner (uno dei principali pedagogisti del secolo scorso), che basò tutta la sua teoria pedagogica (e più in generale l’antroposofia di cui fu fondatore) sulla sua visione spirituale, esplicitandola in molti testi e conferenze (come in “Iniziazione”). Una visione tra l’altro assai articolata e molto dettagliata, su cui chi fa il maestro, il medico, il contadino a partire dalle sue tesi si ispira quotidianamente.

Del resto una dei principali criteri distintivi tra potere buono e potere cattivo di cui stiamo parlando, che è la volontà di dominio sull’altro, è anche quello che secondo molti esoterici distinguerebbe la magia bianca da quella nera. Evitando  però, almeno per il momento,  di addentrarci oltre in un terreno molto scivoloso che richiede ben altri spazi e competenze analitiche.

Il  potere al giorno d’oggi

Viviamo un momento storico dove  la polarizzazione del potere di cui parlavamo sopra è quanto mai evidente. E sono principalmente due le categorie di potere che caratterizzano il nostro tempo:

-la prima, prevalente ormai,  di un potere basato sull’ipertrofia dell’ego e dell’io. Ne sono un esempio eloquente non solo Meloni, La Russa e la vergogna di governanti di matrice fascista, ma anche i docenti, tanto per dirne una delle categorie detentrici di autorità

-la seconda imperniata sul tentativo permanente di dimostrare la malvagità di quei potenti. Modalità che ahinoi spesse volte finisce per concretizzarsi anche lei in un esercizio di quello stesso tipo di potere (pur se più piccolo e meschino)  e nel rifiuto di assumersi  qualsiasi  responsabilità di guida.  Un potere senza potere reale, che lascia dettarsi agenda e musica da chi il potere lo esercita. Semplicemente reattivo e che quindi finisce per non riuscire a incidere quasi per niente nel cambiamento della realtà.

E’la storia dell’ultimo ventennio politico, tra i principali motivi per cui nacque la ricerca azione del CT Mammut e questa rivista. Nella presa di coscienza che investire ogni energia sulla ricerca e denuncia del potere autoritario, finisce per rinforzarlo. Si è perso di vista quello che era la linfa dei movimenti rivoluzionari di ogni tempo: l’idea di una società migliore verso cui tendere. Così fu per il comunismo, per l’anarchia, il socialismo e in parte per il Cristianesimo (e,rimanendo circoscritti all’Italia, oggi sempre più anche per il Buddismo) Indietro non si torna e quella impostazione non era certo la perfezione, ma è da là che si deve ripartire, forti delle esperienze e della conoscenza di quasi un secolo di contropotere alla mercè del potere.

Del resto De Bartolomeis  non è stato certo il solo a riuscire a mettere in chiaro quanto proprio l’illusoria convenzione della stragrande maggioranza dei docenti di essere apolitici e neutri, abbia garantito al potere del più forte la possibilità di condurre il gioco indisturbato.

L’essersi conformati al pensiero prevalente che sparava a zero su ogni ideologia, inneggiando alla real politic, ha finito per conferire la schiacciante  vittoria ad una sola ideologia, quella liberista basata sul primato di mercato e finanza. A cui oggi in Italia si affianca pericolosamente lo sdoganamento dell’ideologia fascista. Potere del mercato basato  sulla manipolazione più sofisticata che mai sia esistita nella storia, dove grazie al marketing e a tecnologie onnipervasive, il bombardamento di mercato è senza interruzione di continuità nell’iperconessione h24. La disconnessione dal sé corporeo e dai suoi bisogni reali perseguita negli ultimi 20 anni, ha già creato un essere umano perfettamente manovrabile. E’ questo il modo principale con cui il potere viene oggi esercitato, non essendo necessari né microchip sottocutanei né altre sofisticatorie. Già è abbastanza così, la strada verso l’ibridazione uomo-macchina è più che avviata. L’ibridazione tra volontà robotica e volontà umana è partita da oltre cinquant’anni, a partire proprio dai massicci investimenti nelle università americane per dettagliati studi sul cervello in ambito neuro psicologico.

Ecco che mettere il tema del potere al centro della ricerca pedagogica, diventa un’urgenza non procrastinabile.

 

Autorità, dovere, obbedienza

Nella ricerca del prossimo anno cercheremo di fare i conti con questo tema soprattutto nel mondo della scuola, essendo questo il nostro ambito di intervento.

Se il processo di cambiamento del secolo scorso aveva avviato una trasformazione virtuosa come mai prima nella storia, oggi questa rivoluzione sembra essere andata pressoché in frantumi. Nella piena attuazione della dinamica che abbiamo appena tentato di ricostruire.

La spinta rivoluzionaria che partiva da una messa in discussione radicale del potere, non avendo avuto più il supporto del cambiamento collettivo  di cui si nutriva (erano gli anni della contestazione e delle grandi rivoluzioni politiche e culturali) né di quello individuale (il viver comodo finisce per prevalere su tutto il resto), ha finito per essere travolta dalla reazionaria spinta di chi dell’autorità aveva avuto sempre un’idea fascista, disperdendo i risultati ottenuti nel secolo scorso.

Del resto molta parte delle conquiste di una relazione  alunno maestro rinnovata, aveva finito per degenerare nell’equivoco di un potere  sostituibile col lassismo, nell’improvvisazione impreparata, nel buonismo, finendo facile preda della reazione restauratrice. La voglia di disfarsi di un potere prepotente, ha portato troppo spesso a disfarsi della figura adulta, dell’autorità come guida. Senza tenere alcun conto della psicologia, come quella di E. Bern e dell’approccio transazionale, dove è all’interno della personalità di ognuno che deve trovare equilibrio armonico l’ adulto, il bambino e il genitore che vi abitano. 

E’ necessario che il bambino sperimenti la fermezza di una figura adulta e autorevole esterna, perché possa interiorizzarne la funzione. Se questo non avverrà, quel bambino resterà deficitario di limiti, struttura, volontà. Ovvio che stiamo parlando di un adulto che sia riuscito a fare i conti con la questione del potere, fondando la propria autorità sull’autorevolezza e non sulla volontà di dominio. Nella filosofia orientale è il tipo di poter che verrebbe definito come energia Yin, maschile, quella capace di dare direzione e rotta senza esitazione. Autorità (autorevole) è dunque un’altra delle parole da recuperare. Come lo è la parola “dovere”.  Termine Inteso come quello spazio che sta tra un presente in cui c’è qualcosa da fare, anche se non si farebbe e non se ne comprende il motivo e un futuro dove il motivo invece ne viene compreso assieme  alla sensazione di piacere (che era stata solo differita). Questo presuppone appunto l’esistenza di un’autorità (che abbia sistemato il suo rapporto col potere) ma anche dell’obbedienza (altra parola da recuperare). Perché è appunto solo l’obbedienza che può permettere di superare quella distanza, ne costituisce il veicolo di possibilità.

 Quanto spesso incontriamo genitori che ostentano la propria idea libertaria, dicendo di essere democratici o addirittura anarchici, mentre esercitano un potere ossessivo ma manipolativo, quello di cui il figlio non riesce ad accorgersene, pur venendo ridotto a poco più di un burattino? Sono forse queste le situazioni più disperate che abbiamo incontrato nella nostra ricerca di questi anni. Perché un’autorità che non appare come tale, che si finge amicona e compagnona, ma poi esercita il proprio potere manipolando la volontà dell’altro, non solo rende impossibile al bambino  la possibilità di strutturarsi una sua autorità interna, ma anche all’adolescente di ribellarsi contro l’autorità del genitore. Ribellione che non trova sfogo esterno, a volte finisce per diventare autolesionismo e autodistruzione. Perché pur avendo subito uno dei poteri più terribili, il bambino non so chi lo abbia esercitato, non può prendersela con un genitore “solo buono”, e allora tutta la rabbia/aggressività non può rivolgerla che contro se stesso. Avere un genitore “cattivo”, l’autorità con cui prendersela, è invece un  passaggio fondamentale per il processo di individuazione /differenziazione, indispensabile per crearsi una propria identità distinta da quella dei familiari.  

Copioni di scuola

Tema del potere da affrontare nella scuola soprattutto perché è attorno a questo concetto che si dipana molta parte del dramma dei rapporti quotidiani di chi la abita. Molta parte di quel che si fa nel tempo scolastico è dovuto alla paura dell’autorità: del Ministro, del Preside, del docente, del genitore. Solo l’alunno non conta nulla, e lo si vorrebbe educare alla democrazia facendogli però sperimentare per oltre 18 anni di scuola un esperienza di dittatura tra le più intolleranti che possano esistere.  E’ nel quotidiano che il veleno dei rapporti di potere sviluppa tutta la sua potenzialità, reiterando quello  il copione familiare di cui ciascuno  è portatore. Basta togliersi per qualche attimo il prosciutto dagli occhi, per vedere quanto in realtà il docente non veda l’alunno o il collega, ma la sorella, il fratello, la madre e non agisca molte delle dinamiche di potere che hanno scritto il suo copione infantile.  La supervisione psicologica sarebbe indispensabile come il pane nella scuola, perché solo la pulizia da queste proiezioni potrebbe avviare un vero processo di cambiamento. Andando a lavorare sulla struttura del carattere (che psicologi come Reich indicano come unica possibilità di mutamento reale). 

Rimangono, per fortuna, molte tracce di quel tipo di rivoluzione. Nelle classi della scuola pubblica e privata (che purtroppo per lo più si guardano in cagnesco) e soprattutto nel sapere pedagogico. Teorie che molto spesso sono addirittura alla base di manuali su cui si formano i nuovi docenti e delle circolari delle autorità, ma che rimangono lettera morta, materiale per rendicontazioni e narcisismi individuali e associativi.

L’impresa di questi anni di Mammut è stata per lo più questa:  partire da queste esperienze residuali e ai fertilissimi materiali teorici, per fare nuovo corpo, potenziare, rimettere in circolo, rifertilizzare. Ricordando e dimostrando con la pratica che un’idea di scuola felice è possibile oggi, come ieri.

 

Perché e come?

Pertanto obiettivi del prossimo anno saranno:

  • Spingere il potere politico  a compiere scelte politiche. Come nel caso della piazza Giovanni Paolo II, scelte che non vadano nell’applicazione di schemi e idee calate dall’alto e funzionali al dominio/potere di gruppi economici privati (uso esclusivo per concerti e grandi eventi), ma che avvengano nel contatto col corpo di chi abita nel quotidiano quegli spazi. Possibilità dimostrata dal  Parco Meraviglia
  • Promuovere la bonifica della parola “potere” e del suo significato nell’esperienza scolastica, tentando di proseguire il lavoro di cambiamento proprio a partire dalla redifinizione condivisa di questo termine con bambini e insegnanti
  • Dare voce e potere a chi un potere non ce l’ha, dando la nostra energia per contribuire al riequilibrio nella distribuzione/accesso alle ricchezze. Questo significa anche continuare a rompere e smascherare giochi come quelli del triangolo drammatico  vittima, persecutore, salvatore di cui più volte abbiamo parlato nella nostra rivista. Una delle dinamiche in cui più fortemente si esercita il potere dell’educatore teso a creare dipendenza.
  • Promuovere la ricerca come metodo di cambiamento sociale, politico e modalità di apprendimento “normale”.

Cercheremo pertanto le strade per farlo, sapendo che come sempre sarà il gruppo a fornire la base di ogni partenza. Avendo tutti capiti che per far prendere corpo all’idea di una  scuola città ideali, dobbiamo davvero fare i conti con il potere. Mettendo in campo tutto quello che gli anni precedenti ci hanno lasciato. Come la possibilità di far prendere corpo alle qualità invisibili che durante questo straordinario anno di ricerca abbiamo capito avere il potere materializzarsi. A patto che si scelga cosa nutrire, a cosa dare il potere di far nascere e crescere.

Buona anno di scoperte vere a tutti!

 

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