PROPOSTA DI FORMAZIONE/ RICERCA Mammut

[ indietro ]

11110177_829779830423972_1217939972964985177_o

PROPOSTA  DI FORMAZIONE/ RICERCA Mammut

MAESTRO ARTIGIANO

Premessa

In base  alle informazioni fin qui raccolte relativamente a possibilità e criticità del gruppo richiedente, si propone di seguito un  percorso di formazione/ricerca.

Prima di specificare azioni e obiettivi relativi al gruppo di operatori, proponiamo un quadro sintetico  della metodologia di lavoro alla base di ognuna delle proposte formative del Centro ricerche Mammut.

Finalità trasversale ad ognuna delle attività del Centro Mammut è la restituzione di senso e motivazione relativamente al lavoro messo quotidianamente in campo dagli operatori che partecipano al percorso,  attraverso la stimolazione di intuito e creatività accanto a capacità logiche e analitiche.   Finalità dei percorsi Mammut è pertanto un ritrovato contatto con il contesto esistente, nella  costruzione di  una metodologia di ricerca condivisa, applicabile e verificabile. Metodologia con radici nella profondità del gruppo e dei singoli che lo compongono, costruita a partire dalle esperienze e dalle conoscenze dei partecipanti al percorso stesso.

 

I. LA METODOLOGIA DI RICERCA

La più generale finalità della formazione Mammut è dare seguito a quanto avviato nella ricerca pedagogica, psicologica e sociale di autori quali J. Dewey, K. Lewin, C. Rogers, C. Freinet, M. Montessori, P. Freire, E.Berne. Lo stesso tentativo ha portato nel 2007 gruppi di diverse regioni italiane a ragionare attorno a possibilità e significati del fare educazione e sociale oggi, dando vita a nuove azioni territoriali nelle diverse città partecipanti (tra cui a Napoli al  “Centro Territoriale a Scampia), ma anche ad un’impostazione metodologica innovativa che questi gruppi hanno chiamato “Metodo Mammut”, pur nella convinzione che non abbia senso parlare di  “metodo”, ma piuttosto di ricerca metodologica permanente.

Buona parte di quest’impianto metodologico è raccontato nella pubblicazione “Come partorire un Mammut – senza rimanere schiacciati sotto” (a cura di Giovanni Zoppoli, ed. Marotta & Cafiero, Napoli 2011),  in “Come far passare un Mammut attraverso una porta – senza tirarla giù (ed. Barrito del Mammut, Napoli, 2015)  e sul sito www.mammutnapoli.org.

Quanto proposto si pone dunque in continuità con stili e contenuti della pedagogia attiva, nella convinzione che a giovarsi dei risultati di studi e fatiche su campo debba essere l’intera comunità scientifica, a prescindere da cappelli e marchi di fabbrica.

 

Buoni principi per migliori fini

Consideriamo la perdita di capacità  di coniugare pratica e teoria tra le principali difficoltà che oggi incontra chi fa sociale e educazione.

In una divisione che ricomincia a caratterizzare sempre più la stessa composizione delle classi elementari,   chi fa è  chiamato a fare e basta, a rivestire i panni del buon operatore (o manovale, non importa se di fabbrica o di camorra) al più dovendo essere in grado di raccontare il proprio operato (magari in tv o a un giornale di grido). Chi studia viene invece recluso nel ruolo di studioso, con poco o nessun contatto con la realtà oggetto del proprio studio. Il mondo del sociale e dell’educazione straborda così di racconti autocelebrativi e di studi che poco riescono a dar conto dei veloci mutamenti e della complessità.

 A fare  le spese di questa tendenza sono tanto l’analisi sociale e la conseguenza elaborazione metodologica, spesso ferma agli intellettuali/operatori di un secolo fa. Ma anche le azioni su campo, sempre meno incisive perché manchevoli di autoriflessività, costruzione di senso e capacità di elaborazione dei vissuti collettivi e individuali. Aspetto questo aggravato dal venire meno di risorse economiche per segmenti ritenuti “non indispensabili” (come la supervisione e la formazione).

 

Se studi e ricerche continuano a interessare chi opera su campo, è di sovente solo in ragione del riempimento di formulari e schemi preconfezionati per bandi e rendicontazioni, in ottemperanza alla burocrazia e all’ormai svelato sistema del progettificio sociale. Parole come ricerca-azione perdono così di senso e significato, perché finalizzate a conferire una qualche affidabilità a percorsi che della ricerca azione non posseggono un bel niente.

Tutto questo non avviene per la cattiva fede o l’intento fraudolento di qualcuno in particolare, ma per meccanismi insiti al settore del privato sociale e oggi aggravati a seguito della crisi internazionale. La necessità di creare racconti appetibili che commuovano finanziatori e pubblico completano il quadro del problema, finendo per condizionare pesantemente l’azione, orientata più all’ottemperanza di parametri numerici e burocratici e alla narrabilità, che all’effettiva evoluzione delle tematiche sociali.

Un percorso coraggioso

Risulta pertanto coraggioso il tentativo di chi decide oggi di mettere in campo un percorso di effettiva ricerca-azione. Anche perché le difficoltà a lavorare in questa direzione esistono per davvero.

Chi lavora su campo, come operatore e/o coordinatore, lavora già molto più di quello che il suo contratto preveda. Da dove prendere il tempo per fare ricerca? Il tempo cioè per studiare e monitorare quanto messo in campo? E inoltre la ricerca richiede competenze diverse da quelle di chi fa l’educatore sul campo: da dove prendere queste competenze? L’affiancamento sul campo di un ricercatore professionale all’educatore è una delle misure più efficaci per il nostro tipo di impostazione, ma costituisce purtroppo un lusso che oggi quasi nessuno può più permettersi.

Infine, non è un caso se chi lavora su campo abbia scelto di fare questo lavoro, assecondando una propensione al fare piuttosto che quella al riflettere e studiare. Dunque da vincere ci sono anche  resistenze più radicate.

Insomma non è un caso se oggi risulta tanto difficile conciliare pratica e teoria: occorre uno sforzo capace di rompere automatismi e circoli viziosi.

Gli alleati

Eppure chi ha scelto oggi di fare il lavoro di educatore è probabilmente molto più fortunato di quanto non lo fossero i suoi antenati. Il lavoro educativo dei nostri tempi può infatti contare su studi e ricerche di grande valore, frutto del cammino compiuto dall’umanità fino ad oggi. Può contare su molte leggi e circolari amministrative e dirigenziali che vanno proprio nella direzione in cui ci proponiamo di andare. E può contare sulla rielaborazione (ancora in corso) di un sistema degli aiuti e del sociale che non andava bene anche prima della crisi economica internazionale.

Ci troviamo cioè in un momento assolutamente nuovo, dove è possibile rivedere molti dei meccanismi alla base dei mali sociali se solo si è disposti a rinunciare a sicurezze e comodità un tempo date per assodate, per andare invece attorno ad un nuovo davvero inesplorato. Non è cioè più possibile pensare di risolvere i problemi della scuola facendo “solo” il doposcuola che riproduce gli stessi meccanismi di una scuola di cui si costituisce il prolungamento. Come è ormai evidente che serve a poco ripetere parole di grandi maestri della pedagogia senza che queste parole trovino spazio nel proprio operato di ogni giorno, uscendone rinfrescate dalla contemporaneità del tempo presente.

 

È cioè necessaria una grossa messa in discussione personale e professionale, basandosi sui contributi di tutte le scienze perché, per dirla con Dewey, l’educazione è come “l’arte di costruire i ponti”. Non esiste , in altre parole, una scienza dell’educazione, ma chi svolge questo mestiere deve attingere ad ognuna delle branche del sapere, nella consapevolezza di stare  lavorando alla costruzione di una società nuova. Per Dewey, come per noi, è fondamentale partire dall’individuo singolo, quello   in carne e ossa, per costruire la società nuova. Finalità che presuppone una lucida, approfondita e aggiornata conoscenza della realtà sociale e il non perdere mai di vista la meta, ovvero il mutamento consapevole e partecipato della società stessa.

 

Il cambiamento

Ed è appunto il cambiamento che contraddistingue il nostro modo di operare. Il motivo per cui abbiamo cioè scelto di affidarci a questa modalità di lavoro è l’esigenza di incisività, la necessità di raggiungere gli obiettivi necessari.

Le azioni che non hanno radici nella riflessività e nello studio sono quelle meno in grado di raggiungere gli obiettivi educativi specifici per le quali vengono messe in campo. Così come sterili risultano gli studi e le speculazioni teoriche che hanno perso il contatto con la realtà. Promuovere l’incontro tra teorie e pratica è il modo che abbiamo scelto per dare più efficacia alle nostre azioni.

Si tratta perciò di una costante ricerca di equilibrio. Nella forbice tra “ricerca pura” e “pura azione”, il nostro lavoro si collocherà in un piano intermedio, a seconda di quanto riusciremo ad affinare e condividere strumenti di monitoraggio e di analisi. Sono proprio gli strumenti di analisi e monitoraggio quelli capaci di fare la differenza, anche se la necessità di poter contare su indicatori precisi e fonti di verifica rigorose richiedono spesso tempo e competenze ulteriori. La possibilità di uscire dal pantano risiede nella capacità di non imballarsi in inutili discussioni sul sesso degli angeli, e di ancorare saldamente la scelta degli strumenti alle esigenze pratiche del proprio lavoro su campo. In questo senso gli educatori, avendo meno tempo da spendere in speculazioni e dissertazioni teoriche, potrebbero avere una marcia in più.   .

Dato per assodato che il concetto di scientificità oggi ha poco senso  se traslato tal quale alle scienze sociali, il nostro lavoro avrà come soglia minima l’adozione di strumenti idonei a garantire un lettura della realtà sociale e del proprio operato corrispondente a crismi minimi di oggettività e verificabilità, con il supporto di un sufficiente bagaglio teorico ed esperienziale.

Quello che chiediamo è insomma prima di tutto il  coraggio di imbarcarsi in un viaggio dove l’unica cosa certa è la produzione di strumenti utili alla navigazione: se un percorso di ricerca-azione è autentico nessuna meta è assicurata. È questo infatti l’ultimo dei punti critici del nostro  viaggio in ragione del quale siamo in perenne ricerca di nuovi compagni di avventura.

Formazione e ricerca

Un’ ultima nota è necessaria aggiungere a premessa del nostro lavoro: il compito è al contempo di ricerca e formazione. Si tratta di una difficoltà aggiuntiva perché da una parte i partecipanti verranno invitati a partecipare a contenuti e modalità del proponente (quelli della pedagogia attiva e riflessiva), dall’altra a ricercare modi propri dell’azione e della ricerca sociale. È del resto questa una delle principali contraddizioni attorno a cui si trova a dover lavorare un educatore: fornire modelli e informazioni al proprio educando, sapendo che il fine del proprio lavoro è però un altro,  consentirgli di trovare un suo modo di affrontare la realtà.

II. SCHEMA DI LAVORO

Lo schema di lavoro segue i seguenti passaggi:

  1. Analisi e definizione del contesto.

Primo passo che il gruppo in formazione compie è cioè quello di mettere in luce e condividere le principali caratteristiche del territorio e dei suoi abitanti, isolando temi, attori e contenuti più utili al lavoro collettivo.

  1. Obiettivi di mutamento

È a partire da quest’analisi che il gruppo stabilisce quali elementi può e vuole modificare, per il miglioramento degli individui e delle collettività con cui lavora.

  1. Mappa di ricerca

Il passo successivo è l’elaborazione di un’ipotesi attorno a cui il gruppo lavora per verificarne la validità. Verranno pertanto definiti e condivisi:

  1. Il bagaglio teorico a cui tale ipotesi può attingere.
  2. Le esperienze affini dalle quali è possibile trarre insegnamento (senza mai importare acriticamente ricette e modelli).
  3. Le azioni da mettere in campo per verificare la validità dell’ipotesi.
  4. Gli strumenti di analisi e monitoraggio.
  5. La verifica di quanto messo in campo grazie ai modelli di analisi e agli strumenti di monitoraggio di cui il gruppo si è dotato.

III. ARTICOLAZIONE DEGLI INCONTRI

Gli incontri formativi Mammutbus possono consistere in un singolo incontro come in percorsi complessi, anche come supervisione metodologica continuativa del lavoro su campo.

Alcuni degli interventi formativi Mammut possono prevedere un affiancamento su campo nel lavoro con bambini, ragazzi e adulti, anche con l’ausilio del Mammutbus, il camper trasformato in ludobus dal centro di Scampia.

OBIETTIVI SPECIFICI

La metodologia “Mammut/Corridoio”

Una delle domande di ricerca attorno a cui è nata l’intera esperienza del Mammut verte sulla possibilità di realizzare “una scuola per adolescenti”. Domanda frutto del confronto tra gli operatori del nord, come del centro e del sud Italia, nata dall’inadeguatezza di molti percorsi scolastici, ma anche dalla crisi del ruolo di genitori, sacerdoti e di altri educatori tradizionali. La ricognizione su pratiche e teorie efficaci e le molte sperimentazioni messe in campo trasversalmente nelle diverse regioni coinvolte, sono alla base di buona parte del patrimonio metodologico del Centro ricerche Mammut.

La necessità di un lavoro di cambiamento che parta dall’educatore (e quindi da una sua personale, prima che professionale, messa in gioco); le parole prese in prestito dalla pedagogia interculturale come “spaesamento”, con la possibilità che ogni viaggio / cambiamento di contesto possono donare al percorso educativo; la pedagogia dell’autenticità di autori come C. Rogers, A. Lowen e più un generale la pedagogia attiva di J. Dewey, C. Freinet, M. Montessori, Tonucci, dell’MCE, del CEMEA e di molti altri;  l’uscita dal triangolo drammatico di Karpman e più in generale l’approccio di Eric Berne alla relazione d’aiuto; gli approcci che rimandano all’unicità della persona, alla sua inscindibile unità e interdipendenza  di ogni sua parte sono stati alla base delle azioni e delle sperimentazioni messe in campo nelle regioni in cui abbiamo realizzato azioni Mammut in questi anni. La necessità, dunque, di affiancare l’educando e dargli la possibilità di evolvere i suoi temi di vita senza mai sostituirsi a lui e senza tentare di calargli addosso percorsi e concetti preconfezionati, sono alla base dei percorsi individualizzati “Corridoio”.

La formazione Mammut è per questo prima di tutto un invito a educatori e formatori a prendersi cura di sé, sperimentando su se stessi le possibilità dell’intreccio tra temi di vita, obiettivi di apprendimento e formazione lavorativa. Coerentemente con la pedagogia attiva di cui ci proponiamo di essere continuatori, ogni percorso educativo parte dalla capacità dell’educatore di intrecciare la propria ricerca personale con quella professionale, la sua sete di sapere con quella del suo educando, la disponibilità al cambiamento con quella del ragazzo che ha di fronte. 

Uno dei momenti della nostra formazione è pertanto individualizzato, ovvero basato su colloqui individuali in cui il sollecitatore Mammut accompagna il singolo educatore/formando che ne fa richiesta alla realizzazione di un proprio PEI (percorso educativo individualizzato), approfondendo e sperimentando su di sé approcci e strumenti della metodologia Mammut.

Scrittura collettiva  – quasi tutti i percorsi Mammut finiscono per essere lavori di scrittura collettiva, diventando anche prodotti editoriali divulgabili nei canali della  distribuzione ordinaria. “Lenti a contatto” è ad esempio il nome del quaderno pedagogico frutto del percorso di ricerca azione svolto per conto dell’ONG Intervita attorno al tema della dispersione scolastica in Italia. Ma la finalizzazione ad un “prodotto” può avere molte varianti, come la realizzazione di una mostra o di un cd multimediale.

 

Altri strumenti utilizzati all’interno dei percorsi Mammut sono: il Mammutbus e suoi  grandi giochi in legno della tradizione popolare; il circolo narrativo;  disegnare con la parte destra del cervello; la falegnameria; l’atelier di pittura; a che gioco giochiamo?: tra gioco e relazione d’aiuto;  la serigrafia artigianale; la lettura animata; cinema di palazzo.

 

III. Durata e articolazione del percorso

Percorso formativo base

Il percorso potrebbe articolarsi in tre incontri, due rivolti agli studenti (Modulo A) e uno a insegnanti e educatori (Modulo B).

Entrambi verrebbero coadiuvati dal camper Mammutbus.

 

Modulo A

Il modulo rivolto agli studenti potrebbe prevede due sotto percorsi. Uno rivolto ad un gruppo pilota interclasse di un massimo di 20 studenti, l’altro all’intera scolaresca.

I primo incontro, della durata di 5hh verrebbe così strutturato:

  1. I parte (durata 1,5 h) -  rivolta  platea allargata (anche l’intera scolaresca).

Questa prima parte verrebbe svolta tra interno e  esterno della scuola (ad es.nel cortile). Finalità di questa  sessione è far sperimentare una modalità diversa di fare scuola sul territorio, fornendo alcuni concetti base della pedagogia attiva.

  1. II parte (durata 3,5h) – rivolta al gruppo pilota:

In questa seconda parte:

  1. verranno approfondite  le basi della ricerca azione e della pedagogia attiva

il gruppo pilota decide un obiettivo di mutamento territoriale e  abbozza la propria mappa di ricerca azione. Il gruppo pilota potrebbe scegliere una porzione di territorio o un tema sociale particolarmente caldo su cui intende lavorare. E’ proprio in base a questi obiettivi che  elaborerebbe il proprio percorso di ricerca azione.

  1. il gruppo pilota si da i compiti e gli strumenti per la ricerca azione da mettere in campo

 

II secondo  incontro,   (a distanza di circa due mesi), prevede:

  1. nella prima fase (2,5hh) – rivolto al gruppo pilota
  • verifica del percorso svolto dai ragazzi nei due mesi in base agli input ricevuti nel primo incontro;
  • messa a punto dell’intervento. Auspicando che l’azione del gruppo pilota venga realizzata nel luogo e/o relativamente al tema su cui il gruppo aveva  deciso di lavorare.
  • Coordinate per la scrittura collettiva dell’esperienza
  1. nella seconda fase (2,5hh)

Intervento su campo allargato all’intera scolaresca. In alternativa condivisione dell’esperienza del gruppo pilota con l’intera scolaresca  come nel primo incontro.

Modulo B

Il modulo rivolto a insegnanti e educatori prevede una discussione su scuola, salute e territorio a partire dalla presentazione del volume di ricerca “Come far passare un mammut attraverso una porta” (a cura di Giovanni Zoppoli e Alessandra Tagliavini, ed. Il Barrito del Mammut, 2015, Napoli).

 

Costi                                                                                                 2.000 netti

 

[ indietro ]

Sviluppo PanPot